Luigi Antonio Manfreda – Ai lettori


La notizia della morte di Mario Perniola, all’inizio di questo nuovo anno, ha raggiunto i suoi amici e i suoi lettori negli angoli più lontani nel mondo. Ed ha colpito chi gravita intorno ad Ágalma in modo diverso. Perché in ciascuno di noi, in quell’affollato, dissonante teatro di ombre cinesi che è la vita diurna, cosciente, che immaginiamo soltanto nostra, Mario svolgeva, com’è inevitabile, un ruolo diverso. Nello stesso tempo, mi sembra di percepire in tutti noi il risuonare di ciò che avverto ora, scrivendone: un’unica, identica resistenza, che è insieme ritrosia, desiderio di rinviare, di ‘tirarla per le lunghe’, a parlare – che poi significa provare a mettere a fuoco: metabolizzare – di quell’assenza, di quella voce che manca e che, venendo meno, ci ha sottratto una parte di noi stessi. Disagio, forse, per aver assistito passivamente, per non essere stati in grado di impedire, come accade in ogni morte che ci tocca, questa diminuzione in noi stessi.

Questa perdita, che è un non-recuperabile nel linguaggio, non è neanche identificabile sino in fondo in esso. Eppure, è anche il centro invisibile intorno a cui ruota, in fondo, ogni scrittura, – e quindi, in un certo senso, anche le pagine di Ágalma. Dovrei forse accennare, qui, al ruolo centrale che Mario Perniola ha svolto nell’intellighenzia italiana di quest’ultimi decenni, al suo non esser riconducibile a nessuna ‘scuola’, al suo senso di libertà e di una gelosa autonomia. Ad una certa sua capacità vertiginosa, funambolica, di sfuggire agli stereotipi. Ma certo altri vi rifletteranno, nei prossimi anni, e per primi noi di Ágalma, con una serie di studi dedicati al suo pensiero. Quello che ora mi viene di rievocare, invece, è il carattere raro della sua amicizia: mite, paziente, affettuosa. La costanza, la mitezza sono le qualità che per me lo distinguevano e mi hanno legato a lui. Ci siamo incontrati più di trent’anni fa, in una Università di Roma a quei tempi appena nata, Tor Vergata.

Procedeva per i corridoi silenziosamente, svagato, con lo sguardo mai fisso su qualcosa in particolare, spesso insieme al suo giovane amico, Giuliano Compagno, che era anche assistente presso la sua cattedra di Estetica. Con quel suo lieve accento piemontese, aveva modi che a Roma risultavano leggermente demodé, – un tempo si sarebbero detti ‘signorili’. Era già avvolto da una certa aura che lo rendeva attraente: per gli studenti – i suoi corsi, che avevano per tema argomenti inusuali, spesso trattati per la prima volta in quelle aule universitarie, erano tra i più frequentati, – ma anche per gli altri docenti, che cercavano l’occasione per intrattenersi con lui. Quello che si percepiva, seppure confusamente, era la sua distanza dall’‘animale accademico’.

Ha voluto che fossi io, insieme a Ivelise, e agli amici della redazione, a proseguire il suo lavoro in Ágalma, a cui negli ultimi tempi aveva dedicato buona parte delle sue energie. Ágalma proseguirà nel solco che Mario ha tracciato, tentando di non disperdere la sua difficile, preziosa eredità.