Mario Perniola – La filosofia italiana e i non filosofi


Nel corso degli ultimi decenni un grande contributo all’affinamento della ricerca filosofica e stato recato dall’indagine sul rapporto tra la filosofia e le lingue. Il Vocabulaire Europeen des Philosophies. Dictionnaire des Intraduisibles, realizzato sotto la direzione di Barbara Cassin (Paris, Editions du Seuil, 2004), costituisce un risultato rilevantissimo di questo tipo di approccio metodologico ai problemi della filosofia, che ha nel Vocabolario delle istituzioni indoeuropee di Emile Benveniste (Torino, Einaudi, 1976 ) il suo modello ispiratore. Il punto di partenza di quest’opera che in milllecinquecentotrentadue pagine prende in esame quattrocento parole chiave delle principali lingue europee e la constatazione che molti termini del linguaggio filosofico sono cosi strettamente legati alla lingua nella quale sono elaborati concettualmente da risultare intraducibili, oppure traducibili solo attraverso uno slittamento di significato che deve in ogni caso evidenziato. Ne risulta che da un lato non c’e concetto senza parola: poiche quest’ultima appartiene ovviamente ad una lingua specifica, la condizione di un approccio metodologico non ingenuo alla filosofia passa attraverso lo studio del singolo termine e dalla comparazione del modo in cui e tradotto nelle altre lingue.La parola non e affatto il segno di un concetto, ma e radicata nelle lingue.

Come spiega Barbara Cassin nell’introduzione, tale metodologia implica il rifiuto dell’universalismo logico che sostiene l’esistenza di un universale logico, identico in tutti i luoghi e in tutti i tempi: poco importa la lingua in cui viene detto. Il modello a cui esso si ispira e la logica matematica: nell’impossibilita di una formalizzazione radicale del linguaggio filosofico, l’uso di un inglese internazionalizzato (cioe privato delle sue caratteristiche letterarie) costituisce un compromesso accettabile per i tempi moderni, svolgendo cosi una funzione analoga a quella svolta dal latino per quasi due millenni. E’ questa la scelta della corrente analitica della filosofia contemporanea, la quale – secondo Barbara Cassin – unisce “l’angelismo del razionale col militantismo del linguaggio ordinario”.
Nello stesso tempo tuttavia la metodologia seguita da quest’opera rifiuta la posizione opposta all’universalismo logico, il nazionalismo ontologico, che enfatizza il rapporto tra la filosofia e la lingua al punto di ritenere la meditazione filosofica inseparabile dalla lingua in cui si manifesta. I concetti sarebbero cosi radicati nell’esperienza collettiva di un popolo al punto che ogni traduzione o decontetestualizzazione darebbe luogo al fraintendimento e al malinteso. L’atteggiamento di sufficienza e di altezzosita con cui vengono percepiti dalle grandi culture nazionali i contributi che le riguardano provenienti da stranieri, e appunto un sintomo quanto mai significativo di tale atteggiamento, quasi che ognuno sia legittimato a parlare solo degli autori che appartengono alla sua lingua madre. Secondo i sostenitori del nazionalismo ontologico, le lingue filosofiche per eccellenza sarebbero il greco per l’antichita e il tedesco per la modernita.

L’approccio metodologico che ispira questo vocabolario si configura come una terza posizione alternativa rispetto alle prime due. Esso studia i principali sintomi di differenza tra le lingue e va alla ricerca dei termini che nelle singole lingue europee presentano caratteri cosi particolari da risultare intraducibili. Nello stesso tempo si interroga sulla specificita del linguaggio filosofico delle singole culture nazionali, per cui il francese, l’inglese, il tedesco, l’italiano, lo spagnolo, il russo, il portoghese e il greco costituiscono altrettanti lemmi autonomi, mentre il greco antico, il latino, l’ebraico e l’arabo sono trattati nella voce “Lingue e tradizioni”. I presupposti teorici su cui e costruito questo vocabolario sono due. In primo luogo in ogni termine filosofico di qualsiasi lingua esiste una tensione tra la pretesa di universalita del concetto e la sua espressione linguistica: proprio su tale tensione si basa la specificita del linguaggio filosofico rispetto a qualsiasi altro. In secondo luogo, ogni lingua apre su un modo particolare di vedere il mondo e contiene un intero un sistema di concetti che si rimandano l’un l’altro.

Sorge cosi la domanda: quali sono i caratteri distintivi della filosofia italiana? O meglio come si prospetta il rapporto tra la lingua italiana e la produzione filosofica? Remo Bodei e l’autore della voce che risponde a tale interrogativo: il titolo di questa voce e Lingua italiana: una filosofia, anche, per i non filosofi. Infatti, secondo Bodei, l’aspetto specifico della filosofia italiana consiste nel suo rivolgersi non tanto (o non soltanto) ai colleghi e agli studenti, ma al pubblico molto piu vasto dei non filosofi; sicche i filosofi italiani non hanno creato un linguaggio tecnico eminentemente speculativo, ma hanno adoperato le parole comuni inserendole in una trama filosofica e caricandolo di un pathos che appartiene alla letteratura e alla musica piu che alla logica e alla matematica. Questa operazione e stata svolta portando una particolare attenzione, per usare le parole di Giordano Bruno, alla mutazione e alla delettazione, cioe alla novita e al piacere, unendo i tre stili (basso, medio e alto), senza timore di usare anche il linguaggio volgare e perfino triviale. Del resto il volgare illustre dantesco costituisce gia un linguaggio che pretende di avere l’universalita del latino senza condividerne la rigidita: esso e una terza strada differente dalla locutio vulgaris e da quella docta.

Da queste premesse derivano molte conseguenze: alcune buone (su cui si sofferma specialmente l’attenzione di Bodei); altre meno buone. Tra le prime va posta un’attitudine alla concretezza (concretus vuol dire spesso), o – come dice Machiavelli – alla verita effettuale della cosa, la quale si distingue appunto dalla verita astratta, non calata nel mondo. E qui spiace che Bodei, ancora vittima di un pregiudizio molto duro a morire, taccia sull’opera di Guicciardini, che con maggiore finezza di Machiavelli, ha ampliato la dimensione della mondanita, includendovi anche la forza effettuale delle cause morali (anticipando in questo Clausewitz). Agli italiani insomma interessano i risultati, non le intenzioni, come secondo l’adagio “di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno”. Cio che conta non e tanto la fede, quanto le opere: o meglio la fede ha valore solo se conduce alle opere. L’accento e quindi posto non sull’interiorita, ma sull’esteriorita, non sull’intimita, ma sul rapporto con gli altri.
Ne deriva una impostazione anti-utopica che si manifesta in una specie di scetticismo nei confronti delle rivoluzioni. Bodei osserva che l’opera di Vincenzo Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana (1799) (cioe su una rivoluzione fallita) ha avuto piu influenza sulla filosofia italiana dell’opera di Marx. Per quanto le nozioni di corso e di ricorso del destino delle nazioni, elaborate da Vico, siano soggette a varie interpretazioni, tuttavia certamente il suo pensiero e estraneo ad una prospettiva escatologica. La stessa cosa si puo dire a proposito della nozione di mutamento che occupa un posto importante nel pensiero politico di Machiavelli.
Dalla speciale attenzione rivolta nei confronti dell’effettualita deriverebbe anche il fatto che la tecnica sembra avere avuto, fin dall’epoca di Galileo, nella societa italiana un rilievo maggiore della scienza. In particolare sarebbe stata particolarmente apprezzata una meccanica che non e contro natura, ma comanda alla natura obbedendole. Compare qui un riferimento al permanere attraverso i secoli di un naturalismo, che in opposizione allo storicismo, costituisce l’altro tratto caratteristico costante della cultura italiana. Del resto la riluttanza dei filosofi italiani a presentare la loro attivita come un’attivita scientifica a pieno titolo costituisce oggi un ostacolo al riconoscimento della filosofia italiana all’estero. Questo e l’aspetto negativo di una filosofia che si rivolge prevalentemente ai non filosofi correndo troppo spesso il rischio di decadere a mera ideologia.

Un’attenzione speciale meritano i lemmi italiani considerati come intraducibili da questo vocabolario. Essi sono argutezza, attualita, civilta, concetto, corso, leggiadria, mutazione, sprezzatura, stato, vaghezza, virtu. Non a caso essi appartengono tutti alla sfera estetica o a quella politica o ad entrambe, segno eloquente di un aspetto costante del genio della cultura italiana. (1)

(1) Per un approfondimento dei temi trattati in questo articolo rimando ai miei testi La differenza italiana e La differenza europea, consultabili in Internet al sito www.marioperniola.it

di Mario Perniola