Recensione a Roberto Calasso “L’impronta dell’editore”


Milano, Adelphi, Euro 12,00. ISBN 978-88-459-2774-4.

Raccolta di saggi sulla nascita, l’ideazione, i criteri di scelta, gli incontri mai fortuiti tra libri e persone, fondatori,  collaboratori e autori del calibro di Roberto Bazlen, Luciano Foà, Ernst Bernhard, Ingeborg Bachman o la figlia di Savinio, Angelica, l’affascinante racconto di Calasso, ricco di aneddoti e riflessioni profonde, scorre non solo come preziosa testimonianza dell’avventura adelphiana, ma soprattutto come sapiente risposta agli interrogativi cruciali dell’oggi. Che ne sarà della letteratura  Dopo Babele, come recita il titolo di un libro di Steiner,  oppure    “Che cosa succederà ai libri” quando la stessa Letteratura è in pericolo, per parafrasare Todorov? Quale è il valore estetico, il significato epocale dell’oggetto libro in un mondo digitalizzato, dall’accesso rapido e democratico dove “falangi di miliardi di ‘pagine web morte’” sono “in crescita esponenziale”?  Come l’editoria può tornare ad essere il punto di riferimento di “quella tribù dispersa di persone alla ricerca di qualcosa che sia letteratura”?  E, cos’è la Letteratura?

Nel ripercorrere con tratti salienti un agile, ricco, vivo e concreto resoconto di fatti e personaggi che hanno popolato i cinquant’anni della storia di Adelphi, contemporaneamente Calasso risponde a tutto ciò, e ce ne rendiamo conto man mano, impercettibilmente, dai punti di vista, i pensieri e le angolazioni con cui intesse e conduce il racconto . Ci mostra con la rievocazione dei fatti e non con dichiarazioni d’intenti, come sia stato possibile riunire quella tribù dispersa, come l’Adelphi sia riuscita ad essere il punto di riferimento di un’idea più vasta e assoluta di letteratura, cosa significhi creare una casa editrice capace di costituire una costellazione di  libri che hanno rischiato “di non diventare mai libri”. “Libri unici” ,  memorialistici o di autori ignoti, isolati o misconosciuti, dove però si è depositato qualcosa di essenziale avvenuto all’autore. Come nel tempo quei libri si siano svelati capolavori e come siano entrati  a far parte di una grande Biblioteca accanto ai classici tibetani o ai libri di etologia.

Come l’India vedica, Maugham, Simenon, Borges, Arbasino, Brodskij, Lèvi-Strausss, Cristina Campo, Jean – Pierre de Caussade e la Grande Vienna di Karl Kraus, Freud, Roth e Schnitzler , pur così diversi, dialoghino tra loro. Come l’aspetto fisico del libro, il colore, la  carta, la copertina, l’immagine che sposa il proprio autore, la collana, il risvolto e quant’altro,  abbiano evidenziato, in quell’ unicum dei seicento titoli della Biblioteca, uno Stimmung, un’aurea catena, un Canone di nicchia ma anche di grandioso e imprevisto successo, tanto indefinibile quanto nobile ed elettivo. Diventa visibile in quale modo nel tempo sia nato un canone inverso ai vizi della migliore cultura degli anni Settanta, a cui comunque Calasso rende omaggio nel capitolo dedicato all’editore Einaudi, un canone controcorrente, frutto di una scelta temeraria, appassionata, visionaria e chiaroveggente. La scelta controrivoluzionaria di un giovane di ventun’anni  che nel ’62, in anni ostili ad ogni letteratura considerata “irrazionale” o “decadente”, con mano ferma, seguendo una onnivora “fisiologia del gusto”, cercava  “oro e non tolla”. A rendere possibile tutto questo è stata quell’idea di letteratura assoluta che è  alla radice di tante pagine memorabili  dei suoi scritti, la stessa  via regale  a cui hanno creduto tutti gli esiliali dalle politiche culturali dominanti, i clandestini, i fuorimoda, i melanconici e i tormentati , anelli dell’ aurea catena Homeri  che unisce le grandi opere del pensiero antico e moderno, mitico e sapienziale, liturgico e filosofico,  greco e orientale,  dalle Upanisad e i Rgveda a Pindaro, da Nietzsche, Schlegel, Novalis e Benn, a Nabokov,  Lernrt-Holenia  e Kundera.

Si evince che è stato possibile grazie alla sua sapiente passione, dedizione e inflessibile capacità di giudizio nel discriminare, con lungimiranza e libertà, un “programma di élite senza sentirne alcun senso di colpa”, come leggiamo nelle pagine che Calasso dedica ai grandi editori che hanno costituito nel Novecento il faro dell’emergente letteratura (da Peter Suhrkamp, che pubblicò Hesse, Brecht, Adorno, Benijamin e Bloch, a Alfred Vallette  e il suo Mercure de France, fino  a Kurt Wolff che scoprì Kafka, Benn, Walser e Trakl, e a Vladimir Dimitrijevi?, “traghettarore e giardiniere” come amò definirsi).  E’ vero, la storia di un editore e della sua Casa Editrice può funge da storia  letteraria e culturale di un epoca e sicuramente Calasso ha costituito la migliore storia dei nostri anni. Tappa dopo tappa, ogni suo libro ci fa penetrare nel continuum della sua complessa ricerca letteraria, e con questo nuovo saggio ci mostra con quale gesto d’arte e di forma, e quindi di stile,  la mano del Calasso editore  sia riuscita a inventare, comporre e ricucire “sconnessioni” che sembravano inconciliabili alla cultura del tempo. Come l’impronta di un grande editore , che al tempo stesso appartiene alla stessa stirpe degli autori Unici Imperdonabili da lui pubblicati, sia riuscita a creare un “paesaggio mentale” vasto e variegato, tessendo complicità e affinità  e non connessioni, tra civiltà distanti migliaia di anni e di chilometri. Sentiamo cosa significhi vivere l’editoria come un traghettatore e giardiniere di libri tanto diversi tra loro, “che si sono ritrovati sotto lo stesso tetto”:  il tempio di quella letteratura assoluta“insofferente di ogni servitù verso la società e portatrice di un sapere irriducibile a ogni altro”, come si leggeva nel suo La letteratura e gli dèi.   Dopo Babele, quando La letteratura è in pericolo, l’esistenza di un editore come Calasso illumina il futuro, o perlomeno resta un alto esempio di come la storia della cultura e di un’editoria orientata e sostenuta da personalità d’eccezione, complici, uniche e affini, possa all’improvviso e sorprendentemente mutarne  il corso. E ci lascia la possibilità di credere  ancora nei libri e in un’editoria capace non solo di sottrarsi alla managerialità del marketing, di “colmare lacune” o  di “scoprire filoni”, ma di salvaguardare un’idea di letteratura a cui non si può rinunciare. “Sì, la Letteratura esiste e, se si vuole, sola, a eccezione di tutto”.

di Isabella Vincentini