Shūzō Kuki – Il problema della contingenza


a cura di Mario Perniola

Il pensatore giapponese Shūzō Kuki (1888-1941) è noto ai lettori europei come l’autore dell’affascinante volume La struttura dell’iki (Milano, Adelphi, 1992). Questo libro, pubblicato nel 1930, ha per oggetto una nozione profondamente radicata nella cultura giapponese, l’iki appunto, che caratterizza il modo di essere della  geisha, cioè di quella figura femminile, dotata di talento e di cultura artistica, che aveva un compito di intrattenimento sessualmente coinvolgente, con un spazio autonomo di libertà e di decisione; infatti, a differenza della prostituta, restava a sua discrezione il fatto di concedersi sessualmente. La struttura dell’iki contiene tre aspetti divergenti: la provocazione sessuale, l’energia spirituale e la noncuranza nei confronti del mondo e delle sue lusinghe. Perciò l’iki costituisce una forma molto raffinata di seduzione, non lontana dalla “sprezzatura” della tradizione rinascimentale italiana: essa unisce infatti un erotismo disinvolto con la baldanza del guerriero, nonché con il distacco nei confronti del mondo tipico del monaco.

Kuki è altresì noto ai lettori europei per l’evocazione della sua figura e del suo pensiero fatta da Martin Heidegger nel volume In cammino verso il linguaggio (Milano, Mursia, 1973), in cui il filosofo tedesco mette a fuoco i punti d’incontro tra la filosofia occidentale e quella giapponese. Heidegger ha saputo cogliere l’affinità tra la propria meditazione interrogante sulle parole chiave della filosofia e l’analogo lavoro studio svolto da Kuki sul significato profondo di alcuni termini della lingua giapponese. Ciononostante, la maggior parte dell’opera di Kuki non è mai stata tradotta nelle lingue occidentali. Fa eccezione il volume Gūzensei no mondai (Il problema dellcontingenza), pubblicato a Tokyo nel 1935 e tradotto in francese da Hisayuki Omodaka nel 1968.

Si tratta di un ampio studio che si presenta come un trattato di logica, ma che contiene continui riferimenti non solo alla filosofia occidentale dei primi decenni del Novecento, alla cultura giapponese, ma anche a fatti di cronaca e a sentimenti personali. In effetti è un’opera non meno suggestiva de La struttura dell’iki, proprio per l’incontro tra un ragionamento calmo e rigoroso e una sensibilità poetica quanto mai attenta all’esperienza della finitezza e dell’impermanenza di tutte le cose. Infatti per Kuki l’ammirazione nei confronti del mostrarsi del reale costituisce il punto di partenza di ogni conoscenza: collegandosi ad Aristotele e a Descartes, non meno che ai miti e alle cronache storiche dell’antico Giappone, Kuki considera l’ammirazione come la tensione affettiva basata sul carattere futuro della possibilità. I passi qui riprodotti sono tradotti  dalla versione francese. Il primo è tratto dall’introduzione e delinea lo schema generale in cui è costruito il volume. Il secondo e il terzo  sono tratti dalla conclusione e si soffermano sul significato radicale della contingenza e sulla sua interiorizzazione.

 

Le tre modalità della contingenza

Poiché la nozione di contingenza è opposta a quella di necessità, essa si articola in tre modalità simmetriche a quest’ultima: 1. la contingenza categorica, 2. la contingenza ipotetica e 3. la contingenza disgiuntiva. Attraverso questa triplice divisione delle modalità della contingenza, il suo senso viene chiarito nella sua unità e diversità. Il difetto di chiarezza delle teorie della contingenza  dipende naturalmente dalla difficoltà del problema, ma anche specialmente dall’assenza di un chiaro punto di partenza,  che da un lato distingua le tre modalità della contingenza, dall’altro abbia un’esatta coscienza dell’unità tematica all’interno della quale occorre ricondurle.

In effetti, la distinzione corrispondente a queste modalità si può trovare in Aristotele. Il sumbebhcoV, accidens, di Aristotele equivale alla contingenza categorica, l’automaton, casus o la tuch, fortuna, alla contingenza ipotetica e l’endecomenon, contingens, alla contingenza disgiuntiva […].
La contingenza categorica si presenta sempre nel dominio dei concetti della logica, la contingenza ipotetica appare nel modo più manifesto relativamente alla causalità che agisce nel mondo dell’esperienza, e la contingenza disgiuntiva emerge particolarmente di fronte all’assoluto metafisico. Ne segue che possiamo chiamare le tre modalità della contingenza rispettivamente contingenza logica, contingenza dell’esperienza e contingenza metafisica.

 

Significato radicale della contingenza

La contingenza categorica è una contingenza espressa, in rapporto all’identità del concetto, da un carattere non essenziale, vale a dire contingente nella struttura categorica. Ne segue che la relazione tra carattere essenziale e carattere contingente è, nella differenza tra giudizio analitico e giudizio sintetico, tra l’identità che fonda il giudizio analitico e la contingenza che si nasconde nel  giudizio sintetico. Ciò può essere anche descritto secondo la distinzione tra giudizio universale e giudizio particolare, la necessità esprimendosi nel giudizio universale e la  contingenza nel giudizio particolare. La contingenza categorica può manifestarsi come fatto isolato ed anche come eccezione.  Mentre  i caratteri essenziali del concetto hanno valore di legge, la contingenza del carattere contingente non ha che il senso d’eccezione rispetto alla legge, e si trova particolarmente accentuata come contingenza in quanto contingenza eccezionale.

Qual è dunque il significato profondo della contingenza categorica? Poiché la contingenza eccezionale è una contingenza particolarmente degna di nota, la contingenza categorica significa nel senso più profondo “un individuo e un fenomeno individuale” di fronte al concetto.
Quanto alla contingenza ipotetica, essa è una contingenza che esprime una esteriorità in rapporto alla struttura della razionalità ipotetica, caratterizzata dall’identità. Essa appare come contingenza  razionale nel dominio della razionalità pura, come contingenza finale e come contingenza causale nel mondo dell’esperienza, intese come applicazioni di questa contingenza razionale. Ciascuna di queste tre modalità della contingenza ipotetica si sdoppia inoltre in una contingenza negativa e in una contingenza positiva. La contingenza negativa è quella in cui noi siamo colpiti negativamente, in un fenomeno, dall’assenza di ragione, di causa o di fine; la contingenza positiva è quella in cui, tra due fenomeni o più, non soltanto constatiamo l’assenza di una relazione di necessità ipotetica, ma inoltre siamo colpiti positivamente dall’esistenza di una relazione, di qualsiasi specie sia.

La contingenza positiva, a causa della sua positività, esprime la contingenza in un modo più marcato della contingenza negativa. Direi di più: al fondo della contingenza negativa, bisogna che esista in qualche modo la contingenza positiva. Questa, nella misura in cui possiede il carattere di contingenza relativa,  esprime una struttura di “incontro di una serie  con un’altra serie”.  Ed è proprio questa struttura che conferisce alla contingenza ipotetica il suo significato profondo. Inoltre, la contingenza finale e la contingenza causale, in quanto appartengono al mondo dell’esperienza, possono essere chiamate contingenze empiriche e, sulla base di questa natura empirica, esse possiedono un aspetto temporale. La contingenza empirica positiva è un incontro nel tempo, e perciò si sdoppia in contingenza simultanea e contingenza successiva, questa potendo essere ricondotta a quella.  Ora, per quanto la contingenza simultanea sia relativa allo spazio, il senso profondo della contingenza nel mondo dell’esperienza deve essere quello “di un incontro fortuito nel tale istante e nel tal luogo” in una forma storica e irrazionale.

Infine la contingenza disgiuntiva, avendo la struttura della disgiuntività, esprime, in rapporto all’identità posseduta dalla totalità dei termini disgiuntivi possibili, ciò che vi è di contingente in ogni termine possibile. Per riconoscere la relazione della contingenza e della possibilità, è stato necessario trovare il posto occupato dalla contingenza nei sistemi delle modalità, più particolarmente nel suo rapporto con la possibilità. Più la possibilità è piccola, più la contingenza è grande, il che vuol dire che più è piccola la possibilità dell’essere, più è grande la possibilità del nulla. Il senso profondo della contingenza disgiuntiva è di spingere verso “la necessità del nulla” in quanto “possibilità del nulla”. La contingenza è una realtà che implica la natura del nulla dell’impossibilità. Essa prende forma fenomenica nell’istante presente come una semplice realtà volta in scherzo.

Nella contingenza si vede il nulla dietro la realtà del termine disgiuntivo realizzato nell’ora del presente, e si è colti dalla sorpresa. E questa sorpresa è per l’esistenza la notificazione del destino. In seguito la totalità dei termini disgiuntivi possibili significa, nel senso forte, l’assoluto metafisico, il quale si spiega, nella sua natura concreta, come contingente-necessario. E per quanto il legame tra l’assoluto e il limitato sia il destino, questo porta anche la natura del contingente-necessario, e fa tremare l’esistenza nel suo intimo. Senza la comprensione del fondamento della correlazione tra necessità e contingenza, non si può avere una piena comprensione della contingenza.

Riassumendo, il senso profondo della contingenza categorica è l’individualità e la fenomenalità individuale; il senso profondo della contingenza ipotetica è di essere incontro di una serie e di un’altra;  il senso profondo della contingenza disgiuntiva è di essere un nulla possibile. La contingenza, nella misura in cui è individuo e fenomeno individuale, è provvista di caratteri contingenti in rapporto al concetto generale; nella misura in cui è incontro di serie indipendenti, si trova al di fuori della relazione necessaria che conduce alla conclusione razionale; infine nella misura in cui è un nulla possibile, è uno scarto dalla necessità che comporta l’insieme di tutte le possibilità. Ma questi tre significati sono assolutamente indissociabili e si armonizzano in un solo insieme.

 

Interiorizzazione della contingenza

Bisogna che la moralità sia adeguata alla realtà e non una costruzione vuota: prendendo per trampolino una data contingenza, essa deve fare un balzo verso l’interiorità. La sorpresa davanti alla contingenza non si deve fondare solo sul presente. Possiamo dare alla sorpresa una base volta verso l’avvenire. La contingenza è infatti  la tangente dell’impossibile col possibile […]. Le parole della Dottrina della Terra Pura: “Se si sa indovinare il desiderio e il potere di salvezza del Buddha, nulla capita invano” (1), dicono appunto questo. “L’incontro” è la contingenza del tuche compare all’io nel presente. La frase “nulla accade invano” significa la mia possibilità futura d’interiorizzare lo stesso tu che mi condiziona. L’infima possibilità vicina all’impossibile diviene realtà nella contingenza, e questa contingenza, producendo nuovamente una nuova contingenza, si sviluppa fino alla necessità; in ciò risiede la salvezza dell’uomo, attraverso il desiderio di salvezza stessa del Buddha come destino. Per dare un senso di destino eterno alla contingenza che contiene in se stessa il nulla e il cui destino è di perdersi, non c’è altro modo che vivificare il presente per mezzo del futuro. Non c’è altro da fare che  illuminare la contingenza presente attraverso la possibilità futura. Al “perché” di Milinda (2), non possiamo rispondere altro che la contingenza è una condizione inevitabile della realtà concreta nel dominio della teoria, ma che, nel dominio dell’azione, è forse possibile colmare la lacuna della teoria, se diamo a noi stessi quest’ordine: “Fai in maniera tale che gli incontri non avvengano invano”.

 

 

Note

1 La dottrina della Terra Pura costituisce una delle correnti principali del buddismo giapponese. Il suo aspetto specifico è la credenza nella possibilità di una rinascita in una “Terra Pura”, che consente di sottrarsi per sempre al ciclo delle trasmigrazioni. I principali esponenti  di questa dottrina furono i monaci Genshin (942-1017) e Hōnen (1133-1212) [N.d.C.].
2 Kuki si riferisce al testo del buddismo indiano Milindapañha (Le domande di Milinda) del II sec. a.C- I sec. d.C,  che riporta una lunghissima conversazione tra  il re indo-greco Milinda e il monaco Nagasena, al termine della quale Nagasena riesce a convertire al buddismo il suo interlocutore. La domanda specifica cui si riferisce Kuki è la seguente: “In questo mondo tutti gli uomini sono perfettamente costituiti con una testa, una figura, un corpo e quattro arti. Perché alcuni vivono a lungo e altri poco, alcuni cadono spesso malati e altri raramente, alcuni sono poveri, alcuni occupano alti incarichi e altri restano umili, alcuni sono belli e hanno forme regolari a altri sono brutti e deformi, certi ispirano fiducia e altri provocano sospetto, certi sono intelligenti e altri ottusi, da che cosa dipendono queste differenze?” [N.d.C.].