Arte, design, artigianato
Carmelo Meazza, Il parergon dell’ente. Premesse per una fenomenologia del design
Francesco Valagussa, Crafts.Tra arte e design
Milosh Fascetti, La fine della musica
Marcello Ghilardi, Presenza e resistenza nell’arte
Enea Bianchi, Contro gli artisti
Giuseppe Pintus, Il quadro, il visibile e la donazione in Jean-Luc Marion
Giada Carraro, Maria Furlan: la “voce della spola” lungo il filo dell’arte
Massimo Donà, Metafisica del segno
Saggi
Ivelise Perniola, Musicoclastia: sull’odio per la musica nel cinema.
Recensioni
Jan Philipp Reemtsma, Vertrauen und Gewalt. Versuch über eine besondere Konstellation der Moderne (Andrea De Santis)
Lucia Vantini, L’ateismo mistico di Julia Kristeva (Chiara Boldorini)
Peter Sloterdijk, Il quinto “Vangelo” di Nietzsche. Sulla correzione delle buone notizie (Marco Pavanini)
Questa volta l’editoriale sarà brevissimo perché su queste tre parole – arte, design e artigianato – l’essenziale è già stato detto da me o da altri collaboratori della rivista.
In effetti in tutti e tre questi campi è avvenuta una frattura epistemologica per cui questi tre termini hanno assunto un significato molto differente da quello che la tradizione attribuiva loro. Per quanto riguarda l’arte, rimando al mio libro L’arte espansa (Einaudi, 2015) che spiega come nel corso degli ultimi decenni si sia completamente erosa la differenza tra arte e non-arte. Per quanto riguarda il design, rimando alla recensione di Giuseppe Patella al libro di Vilém Flusser, Filosofia del design (in Ágalma, 7-8), da cui risulta che la dimensione progettuale che viene attribuita al design si rivela piuttosto inadeguata per interpretare la situazione attuale troppo fluida e mutevole e perciò inadatta a fare piani di lunga scadenza. Infine per quanto concerne l’artigianato, il saggio di Sarah F. Maclaren Che cosa sono gli Studio Crafts? (Ágalma, n. 13) ha mostrato che anche questo campo è stato completamente destabilizzato da numerose altre forme di crafts (rural craft, folk craft, vernacular craft, studio craft, luxury craft, amateur craft, ethnic and tourist craft, women’s craft…) ognuna delle quali richiede uno studio specifico.
Non a caso i termini ‘Arte, design, artigianato’ sono accostati nel presente numero di Ágalma. Tra queste tre parole c’è certo un legame di affinità e una ben precisa relazione. Molto unisce l’arte al design e questo all’artigianato e, fin dalle origini la prima e la terza attività sono, tra loro, strettamente congiunte, a partire dalla loro etimologia. Il design poi, in quanto progetto finalizzato alla realizzazione di un manufatto, vede in esso la sua concretizzazione, in particolare quando applicato alla produzione di oggetti, nell’ambito delle arti decorative e industriali. Non per nulla quest’ultima progettazione colloca le sue origini all’interno del movimento artistico Arts and Crafts nato in Inghilterra proprio nel XIX secolo durante la rivoluzione industriale; che poi questo tipo di prodotti venga definito anche ‘arte applicata’ è un ulteriore conferma a quanto si diceva prima. La manualità qui espressa ci riporta però indietro nel tempo a rintracciare altri intrecci.
Pensiamo alle antiche corporazioni medievali di arti e mestieri in Italia, le Gilde di molte città europee, che avevano come scopo quello di promuovere, proteggere, creare determinate attività commerciali, tutelandone i soci e favorendo la formazione e l’apprendistato. Ma anche le botteghe degli artisti erano luoghi in cui gli allievi imparavano, sotto la guida dal maestro le nozioni fondamentali della materia trattata. In effetti però, e qui torniamo alla intrinseca connessione tra artista e artigiano, la distinzione tra le due competenze e i due ruoli non era così ben chiara e definita come ci appare oggi. Già il semplice fatto che il lavoro manuale non rientrasse tra le artes sermocinales del trivio e del quadrivio, non fosse cioè un’occupazione liberale, ci sta ad indicare quanto ciò che veniva prodotto dalle mani, non godesse di una particolare stima.
L’arte quale la intendiamo ai nostri giorni è qualcosa di ben diverso per esempio perciò da quanto essa fosse in epoche passate, nell’antichità classica, ma anche nel medio evo e nel rinascimento nei concetti di mimesis, poiesis e praxis. Solo in età a noi più vicine, a partire dal Novecento, ci si accosta a una nuova visione, a contenuti aperti che esprimano l’interiorità dell’artista.
Il design, pur essendo di solito profondamente legato ad esigenze di tipo industriale, comunicativo, grafico, di immediatezza e comprensibilità, non prescinde da una componente creativa essenziale; l’estro del designer è cosa ben nota e apprezzata nei vari settori in cui esso è applicato.
L’artigianato infine, per quanto di solito associato a necessità pratiche, immediate e a soddisfare bisogni primari, nei suoi esiti migliori, produce anche al presente oggetti e manufatti pregevoli, grazie a piccole imprese altamente qualificate capaci di associare manualità colta e sviluppata tecnologia che sono in grado di reagire egregiamente all’appiattimento e alla standardizzazione del gusto del prodotto di massa, grazie alla genialità e professionalità dei protagonisti.
In nessuno di questi tre ambiti possiamo non evidenziare quindi quei connotati comuni di cui si parlava prima che hanno motivatamente dato origine a questo nostro studio di approfondimento.
Certo, come sappiamo da sempre, la presenza di un abile maestro è importante, ma senza la perizia, l’abilità, la pratica, il genio individuale è difficile poi raggiungere eccelsi risultati:
Coloro che furono bravi arcieri impararono dall’arco e non da Yi l’arciere. Coloro che sanno maneggiare le barche impararono dalle barche e non da Wo il barcaiolo. Coloro che possono pensare impararono da soli, e non dai Saggi (Kuan Yin Tzu).
E questo è valido in ogni epoca. Che poi anche i più eminenti esiti artistici non possano fare a meno dalle capacità, dalla conoscenza delle tecniche, dalla manualità è un altro fattore che conferma quanto affermavamo prima, che gli incapaci di sicuro non possano raggiungere alcunché di valido
Tutti noi architetti, scultori, pittori dobbiamo rivolgerci al mestiere. L’arte non è una professione, non v’è differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano. In rari momenti l’ispirazione e la grazia dal cielo, che sfuggono al controllo della volontà, possono far sì che il lavoro possa sbocciare nell’arte, ma la perfezione nel mestiere è essenziale per ogni artista. Essa è una fonte di immaginazione creativa. (W. Gropius, Manifesto programmatico del Bauhaus).
Anche Oscar Wilde, sempre pronto ad offrirci sprazzi di saggezza, non esita a vedere le affinità tra due ambiti a volte così attigui da essere sfumati nei loro rispettivi confini: “ Ci sono momenti nei quali l’arte raggiunge quasi la dignità del lavoro manuale”. Se è pur vero quanto sostiene Gustav Klimt che cioè “L’arte non è altro che una linea attorno ai tuoi pensieri” e ciò bene esprime la creatività artistica, l’ispirazione che non consiste nel copiare pedissequamente la natura o altro, Picasso afferma anche che “dopo tutto un’opera d’arte non si realizza con le idee, ma con le mani”, affermando così che un pittore ad esempio non può rinunciare a quelle doti di perizia e conoscenza della materia prima e di come gestirla, che costituisce la premessa indispensabile al fare artistico. Con questo assunto concorda anche lo storico dell’arte austriaco Ernst Gombrich quando afferma che:
Mi pare che i quadri siano stati oggetto di una sopravvalutazione, di una cieca ammirazione che ne ha fatto delle cose ideali… e questo errore di valutazione è stato sanzionato da strani epiteti che si è voluto applicare ai pittori, il divino, l’ispirato, e così via … eppure i più sublimi prodotti del pennello sono … il risultato non dell’ispirazione, bensì di lunghi e pazienti studi, guidati da tanto buon senso (Ernst Gombrich, L’immagine e l’occhio).
Continuando poi il parallelismo tra i due primi termini, possiamo riferire quanto ha affremato qualcuno che l’artigianato è più ‘accessibile’, si può toccare con mano, l’arte è invece intangibile (poi certo costa meno). Ma non sempre è così, sappiamo che anche quest’ultima può interagire con chi la osserva. E che inoltre sarebbe nocivo e controproducente, da parte della più modesta produzione, emulare la struttura intellettuale dalla ben più titolata sorella maggiore. E’ giusto infatti mantenere precipue peculiarità ed evitare passive e pretenziose scalate verso vertici irraggiungibili, mentre nel proprio specifico si possono ottenere egregi risultati, contraddicendo con ciò quei critici che spingerebbero le forme artistiche ‘più basse’ verso le vette di quegli stili e ideologie che collocano in alto, pittura e scultura, quali ‘forme nobili’ di una ipotetica scala gererchica. Possiamo concludere questa disputa con quanto esprime il giurista americano Louis Nizer in una sua celebre affermazione che:
Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio; un uomo che lavora con le sue mani e il suo cervello è un artigiano; ma un uomo che lavora con le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista (Louis Nizer, Tra te e me, Beechurst Press, 1948).
fermo sempre restando che comunque “La Via del fare è l’essere” (Lao-Tse).
Certo non possiamo dimenticare la posizione del poeta Ezra Pound in merito alla mercificazione dell’arte; egli esprime la nostalgia per un epoca preindustriale in cui l’arte e la cultura si riferivano ad altri valori non strettamente connessi con quelli del denaro e del profitto; in questa dimensione l’autore allude anche a mestieri arcaici di tipo artigianale scomparsi nel mondo contemporaneo:
Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v’è chiesa con affreschi di paradiso
harpes et luz
e l’Annunciazione dell’Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà staccio vieto
arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l’usura, spunta
l’ago in mano alle fanciulle
e confonde chi fila.
Pietro Lombardo
non si fe’ con usura
Duccio non si fe’ con usura
nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè fu ‘La Calunnia’ dipinta con usura.
L’Angelico non si fe’ con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna chiesa di pietra viva firmata : ‘Adamo me fecit’.
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte ed artigiano
tarla la tela nel telaio, nessuno
apprende l ‘arte d’intessere oro nell’ordito;
l’azzurro s’incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane amante
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
carogne crepulano
ospiti d’usura. (Ezra Pound, Cantos, XLV, traduzione di Alfredo Rizzardi)
(http://blog.quotidiano.net/marchi/2012/09/21/contro-lusura-dai-cantos-di-ezra-pound-xlv/)
A noi piace quindi, come radicato vizio, parlare di letteratura e sconfinare in un campo apparentemete diverso, quello delle lettere appunto. Se infatti Umberto Saba e Umberto Eco concordano nel ritenere “l’opera d’arte sempre una confessione” è pur vero che Andrè Gide sostiene che “l’opera d’arte è l’esagerazione di un’idea”. Ci è gradito però concludere con quanto afferma l’esteta:
Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui
terminando con le vere parole affermative e non solo programmatiche di Andrea Sperelli:
Ho fatto della mia vita un’opera d’arte (Gabriele D’Annunzio, Il piacere).
di colui che cioè insieme al suo creatore, aveva realizzato questa, per altri, pura utopia.