Al pari di altre riviste, quali Revue d’esthétique e Rue Descartes, Ágalma dedica questo numero interamente alla danza, in un progetto culturale e filosofico, che è anche editoriale, piuttosto inedito in Italia, e secondo una linea programmatica attenta alle relazioni e ai codici dei fenomeni emergenti nell’ambito della sensibilità e dell’arte.
L’odierno stato della danza contemporanea, come territorio al centro delle più avanzate ricerche teoriche, rappresenta uno degli esiti di quella svolta di pensiero che da fine Ottocento ha invertito il corso di quest’arte, creando i fondamentali di una filosofia della danza. Questa attuale prassi della filosofia e dell’estetica, tuttavia, non è ancora paragonabile all’attenzione rivolta dal discorso filosofico alle altre arti. La danza studiata e analizzata, cioè, non è ancora sufficientemente riconosciuta nel suo statuto teoretico, mentre per altro verso essa si sta affermando come uno dei fenomeni artistici più innovativi e interessanti della scena internazionale. Da un lato, dunque, è sempre più amata e conosciuta, dall’altro, non basta vederla e fruirla nei momenti di spettacolo. Per poterne cogliere la pratica, così diversa da quella della modern dance, e radicalmente distante dalla sua condizione pre-moderna, c’è bisogno di considerarne più a fondo la complessa poetica. Un’esigenza, questa, di cui si comprende il senso se si guarda alle modalità di approccio al corpo, al movimento e alla composizione messe in opera dalla coreografia contemporanea. Si tratta, infatti, di paradigmi associati spesso a una perdita di riconoscibilità delle forme note della danza, che sembrano definire le condizioni di una poetica che lavora con categorie concettuali inedite, aprendosi a un fare rischioso.
A rendere ‘contemporanea’ la danza, infatti, non è semplicemente la dimensione temporale di qualcosa che accade in anni vicini, ma è il nesso stabilito con l’arte da un punto di vista concettuale. Nella svolta del contemporaneo, la danza è arrivata a definirsi “concettuale” o “non danza”, dissolvendo, ad esempio, la sua tradizionale sostanza di arte del movimento, un elemento, questo, posto talvolta solo come una delle possibili declinazioni delle nuove strategie coreografiche. Tutto può diventare danza: il gesto più ‘banale’, come il più ‘statico’, fino, appunto, a una danza che non si muove più.
Contemporanea, quindi, non è soltanto la danza che mescola i codici, esplode dai confini e revoca in dubbio la sua separazione, dandosi come messa in comune dei linguaggi artistici, e come messa in scena di spazi non tradizionali; ma anche quella che rimette in discussione l’atto stesso del danzare, e il medium di cui si serve, il corpo, facendo vedere, potremmo dire, l’immobilità come possibilità del movimento e l’“anticorpo” come categoria di una corporeità non considerata più attraverso l’idea di organismo o di sostanza stabile, ma piuttosto come “passaggio” e “transito”.
Si tratta della fine della danza? O forse, la danza non è più la danza? Certamente ciò che si dà è una nuova sintesi estetica in cui i corpi smettono di essere figure di fronte al mondo, o rappresentazioni di qualcosa, e diventano essi stessi problematizzazione del loro statuto: È ancora il corpo che danza? È ancora il corpo che si muove? Che cos’è il movimento?
Domande direttamente o indirettamente poste dal fronte più illuminato della ricerca coreografica contemporanea e portate dai contributi di questo numero al livello di una interrogazione sulla danza, ben oltre l’evento scenico. Rendere conto della sua attuale configurazione vuol dire, allora, ripensarne i fondamenti. In questa ottica, i testi raccolti analizzano il rapporto gesto-parola-senso-scrittura, la nuova fisionomia visiva della coreografia contemporanea nel denudamento del corpo, la relazione tra pensare e danzare o, potremmo dire, il tipo di pensiero che la danza stessa è, il suo rapporto col concetto di morte, fino al recupero del potenziale paidetico della coreutica nella formazione di una “corporeità critica”, lo statuto della danza come “arte autonoma”.
In questi nessi reciproci di performativo, visivo, semantico e riflessivo, le parole dette sulla danza, e che essa stessa pare suscitare in una mutazione del concetto di scrittura, sembrano inscriverla in una storia del corpo, del linguaggio e del pensiero come ipotesi di liberazione dalle disposizioni sociali e di dissolvimento delle sovrastrutture semantiche e delle stratificazioni culturali. Un essere messa a nudo nell’esperienza di una distruzione dell’ordine pratico della vita per un ordine sacro dell’esistenza.