Sarah F. Maclaren – L’immagine dell’Italia nei Cultural Studies anglofoni


Nell’ambito dei Cultural Studies (1), e in particolare nei paesi di lingua inglese, in cui hanno ormai raggiunto un riconoscimento disciplinare e accademico, è stata riservata una notevole attenzione all’Italia. Dalla metà degli anni Ottanta, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, numerosi esperti dei CS hanno promosso una serie di iniziative universitarie ed editoriali con lo scopo di far conoscere al pubblico anglofono e agli studenti universitari la società e la cultura italiana contemporanee. I promotori di tali progetti, caratterizzati da un taglio interdisciplinare e dal coinvolgimento di numerosi studiosi italiani, hanno così incoraggiato la diffusione di immagini dell’Italia che comprendono tanto le principali trasformazioni politiche, sociali e economiche degli ultimi decenni, quanto le manifestazioni più significative della cultura popolare e di massa.

Lo scopo di questa rassegna non è di analizzare il ruolo dei CS in Italia, né di addentrarsi in aspetti squisitamente metodologici, bensì di illustrare alcune delle iniziative più significative, nonché le loro trasformazioni (2). Ciò che colpisce non è solo l’estensione e la quantità di attività universitarie ed editoriali, ma anche il fatto che l’Italia contemporanea occupi un ruolo di primissimo piano nel tessuto culturale internazionale. Vediamo inoltre che i CS risultano particolarmente adatti a riunire e aggiornare discipline tradizionali, come ad esempio la letteratura, la storia, la politica, la storia dell’arte, ma allo stesso tempo permettono l’allargamento a tematiche contemporanee come le comunicazioni di massa e i media, i mutamenti più recenti nel tessuto sociale italiano, le relazioni tra i sessi, i complessi rapporti con il potere e la nuova etnicità, dovuta alla presenza sempre più cospicua di immigrati nell’Italia contemporanea. Inoltre la realtà italiana, a causa della unificazione politica recente, del persistere delle identità regionali e del plurilinguismo, sembra essere il terreno ideale per quelle analisi “decostruttive” e alternative che costituiscono un aspetto importante dei CS.

 

Riviste e convegni

Il primo aspetto sul quale desideriamo portare l’attenzione è l’ambito universitario. Presso molte università britanniche e statunitensi, all’interno dei corsi di lingua e letteratura italiana, è ormai possibile frequentare anche quelli di Italian Studies. La creazione di questi nuovi programmi risponde a esigenze specifiche; se da un lato era necessario aggiornare e rendere più attraenti i corsi sull’Italia, dall’altro si cercava di fronteggiare il calo degli studenti – una difficoltà pratica condivisa da numerosi dipartimenti di italiano. Nel 1998 Robert S. Dombroski, nell’editoriale della prestigiosa rivista statunitense “Annali d’Italianistica”, incoraggiava l’istituzione di tali insegnamenti: “negli Stati Uniti, la trasformazione della tradizionale disciplina di Italian Literary Studies in Italian Studies è un modo intelligente e pragmatico per fronteggiare le perdite che l’italiano ha subìto a causa del lento spostamento, soprattutto nelle università pubbliche, verso il vocazionalismo, nonché il declino dell’interesse nelle scienze umanistiche” (3). Quindi i corsi di Italian Studies, che in molte università hanno sostituito quelli più tradizionali di Italian Literary Studies, sono sembrati più idonei ad attrarre studenti, grazie alle ampie possibilità date dai CS e alle loro caratteristiche interdisciplinari; gli Italian Studiesriescono a mettere a fuoco e ad analizzare le trasformazioni più recenti della cultura e della società italiana.

Che i CS abbiano dato una nuova ventata allo studio dell’Italia è testimoniato inoltre dai convegni scientifici internazionali che sono organizzati. Non vogliamo annoiare i lettori di “Ágalma” con un lungo elenco di tutti gli incontri tenutisi, tuttavia ci sembra opportuno citarne qualcuno per far comprendere quanto interesse ci sia intorno all’Italia. Tra questi ci limitiamo a segnalarne alcuni i cui atti sono stati pubblicati in volumi collettivi oppure in riviste scientifiche basati sull’approccio dei CS:

1. “Turbulent Transitions: Mass and Popular Culture in Postwar Italy”, organizzato dal Dipartimento di Italian Studies dell’università di Reading, Gran Bretagna, tenutosi nell’ottobre del 1987. Gli atti furono pubblicati in Baranski & Lumley (1990);

2. “Designing Italy: Italy in Europe, Africa, Asia and the Americas”, tenutosi a Syracuse University, USA, nell’ottobre del 1992, in concomitanza con il cinquecentenario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. I risultati del convegno furono raccolti in Allen & Russo (1997);

3. “Italy in the Digital Era: Mapping the New Media System”, organizzato dal Centro di Italian Studies dell’Istituto di Studi Romanzi all’University College di Londra, nell’ottobre del 2000. I testi furono pubblicati nella rivista “Modern Italy”, 6 (2), 2001;

4. “Intellectuals and Political Culture”, tenutosi all’Istituto Italiano di Cultura a Londra, nel novembre del 2000, i cui atti furono raccolti nella rivista “Journal of Modern Italian Studies”, 6(2), 2001;

5. La Society of Italian Studies (G.B.) inoltre promuove e organizza costantemente una serie di convegni e seminari sull’Italia, le informazioni dei quali sono facilmente consultabili via Internet.

Non meno rilevanti sono le attività editoriali, dalle quali sono uscite moltissime pubblicazioni in inglese di CS italiani, che includono libri e riviste. Per quanto riguarda i libri, essi hanno un carattere divulgativo; sono antologie che, adoperando un taglio interdisciplinare, mettono a fuoco gli aspetti più significativi della cultura e della società italiana contemporanea. Alcuni di questi volumi appartengono a grandi progetti editoriali appoggiati da altrettante prestigiose case editrici, come ad esempio quella delle università di Oxford e di Cambridge, che hanno sedi e pubblicano in tutto il mondo anglofono. La Oxford University Press ha pubblicato una serie di volumi di CS dedicati a vari paesi, comprendendo la Francia, la Germania, la Russia e la Spagna. La Cambridge University Press ha invece lanciato una collana intitolata Cambridge Companions to Culture, in cui sono nuovamente inclusi libri sull’Italia, sulla Germania,  sulla Spagna e sulla Russia. La Northern University Press pubblica una raffinata serie interdisciplinare dal titolo Italian Perspectives, curata da Zygmunt G. Baranski e Laura Lepschy, che raccoglie studi monografici sulla cultura italiana. Per quanto riguarda le riviste, anche in questo caso la lista sarebbe lunghissima. Ma qui ci preme menzionarne qualcuna, affinché i nostri lettori possano avere un’idea di quanto fervano le attività editoriali intorno ai CS italiani. In Gran Bretagna, ad esempio, oltre alla già menzionata “Modern Italy”, abbiamo la rivista interdisciplinare “The Italianist”, curata da Baranski. Mentre negli Stati Uniti, accanto al “Journal of Modern Italian Studies”, vi è “Annali d’Italianistica”, a cura di Robert S. Dombroski e Dino S. Cervigni, che nei suoi numeri dà ampio rilievo anche a argomenti attuali come i Women Studies, il cinema, l’immigrazione e la moda.

 

Opere collettive

Tuttavia è nei libri che troviamo i contributi più interessanti dei CS italiani. Ed è su alcuni di questi che desideriamo spendere qualche parola, sia per mostrare quali temi e immagini dell’Italia vengano trattati, sia per vedere se, dai primi volumi pubblicati, vi siano state delle trasformazioni significative anche nell’organizzazione e nel taglio metodologico dei medesimi.

Il primo volume del quale desideriamo trattare è quello curato da Zygmunt Baranski e Robert Lumley (4) dal titolo Culture and Conflict in Postwar Italy. Essays on Mass and Popular Culture (1990).
Il punto di partenza del volume è molto specifico: evidenziare la complessa trama di rapporti della cultura italiana dal dopoguerra in poi. Mai come nella seconda metà del XX secolo, la storia italiana è stata sottoposta a cambiamenti così rapidi e radicali. Tali mutamenti “turbolenti” sono stati così profondi che hanno avuto innumerevoli ripercussioni, il risultato dei quali è stata la formazione di una società e una cultura completamente differenti da quelle precedenti. Tali trasformazioni vengono definite “turbolenti” sia per il modo in cui avvennero sia per l’impatto che ebbero sulla mentalità e sui valori tradizionali dell’Italia: investirono tutti i settori, da quello politico ed economico a quello sociale e culturale.

Nel vortice dei cambiamenti, alcuni eventi sono stati più incisivi di altri e sono divenuti dei clichés facilmente identificabili dall’opinione pubblica, sia attraverso la promozione sempre più incisiva dei mass media, sia attraverso la politica, la Chiesa, il sistema di istruzione e gli intellettuali. Tali clichés, divenuti emblematici, costituiscono una parte essenziale della cultura contemporanea italiana e sono condivisi tanto dalla memoria popolare quanto dai discorsi accademici. Tra questi mutamenti radicali se ne evidenziano i più noti, quali la grande migrazione e l’esodo dalle campagne, il “miracolo economico” e il consumismo – le cui icone principali divennero la Fiat Seicento e la Vespa – Papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano Secondo, il “compromesso storico” e il successo del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta, il terrorismo e Aldo Moro, la deregolamentazione della radio e della televisione, la diffusione dell’eroina, la criminalità organizzata, la P2, il “sorpasso” economico degli anni Ottanta e così via.

Gli autori si propongono di colmare una lacuna che fino a quel momento aveva caratterizzato gli studi anglofoni dell’Italia, ovvero fornire un volume divulgativo che metta a fuoco i principali fenomeni della cultura popolare e di massa, comunemente trascurati. Infatti, se nel caso dell’Italia era stata sempre accentuata l’analisi della cultura “alta”, che trovava supporto sia nelle attività intellettuali sia nelle enormi attrazioni turistiche, tale approccio riservava un’importanza quasi esclusiva alla grande tradizione letteraria, storica e artistica della penisola.

Il libro pertanto vuole creare una nuova immagine dell’Italia che concili le percezioni convenzionali della cultura italiana con le trasformazioni radicali che hanno contrassegnato il paese dal 1945 in poi. In Italia, come anche in altri paesi industrialmente avanzati, sempre più si avverte l’importanza delle forme di cultura popolare e di massa; e a tale proposito gli editori si richiamano a studi, divenuti classici, che hanno dato un notevole contributo all’analisi di questi fenomeni, i tra i quali quelli di Richard Hoggart, The Uses of Literacy (1957), Raymond Williams, The Long Revolution (1961), Edgar Morin, L’Esprit du temps (1962) e Umberto Eco, Apocalittici e integrati (1964).

I dibattiti sulla cultura popolare e di massa vanno visti alla luce delle trasformazioni turbolente che hanno caratterizzato tutte le società industrializzate, e che hanno raggiunto l’apice negli anni Cinquanta e Sessanta. L’Italia, coinvolta in questo processo, non solo divenne una delle maggiori potenze industriali del mondo, ma dagli anni Ottanta in poi si trasformò in una società “post-industriale”. Tuttavia dal 1975 si è creata una situazione del tutto anomala, a causa della deregolamentazione della radio e della televisione, che ha provocato un’espansione incontrollata di emittenti televisive private. La questione della cultura di massa si è imposta dunque in tutta la sua urgenza. All’improvviso l’Italia si era conquistata la reputazione di essere uno dei peggiori esempi della cultura di massa. La sua fama di essere culla di una delle più importanti tradizioni artistiche nel mondo, è stata eclissata da programmi televisivi di pessima qualità, come la televendita oppure gli shows di varietà con vallette seminude! Non sorprende quindi se questa società dello spettacolo abbia incuriosito gli osservatori stranieri.

Tuttavia questi fenomeni hanno avuto il merito di incoraggiare la nascita di interessi ad ampio raggio sull’Italia. E l’importante novità di Culture and Conflict è di essere il primo contributo in lingua inglese sulla cultura popolare e di massa in Italia. Nonostante esistessero cospicui studi in inglese su tali fenomeni in Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Australia, questi scarseggiavano nel panorama italiano. Sebbene vi fossero volumi di questo tipo pubblicati in italiano, ben pochi di questi erano disponibili in inglese. La struttura di Culture and Conflict rispecchia appunto tale esigenza divulgativa, ovvero unire un profilo storico ad analisi e a case studies più particolari. Ma l’aspetto più interessante è costituito dal fatto che i curatori, per soddisfare un obiettivo così ampio, procedono avvalendosi del contributo metodologico dei CS, accentuando l’aspetto interdisciplinare e includendo contributi provenienti da numerose discipline quali la storia, la linguistica, la letteratura, la sociologia, la scienza delle comunicazioni, le scienze politiche e così via.

Per quanto riguarda la nozione di “cultura”, lo studio dell’Italia diventa l’occasione per chiarire e mettere a fuoco i vari aspetti di questa nozione nel contesto italiano; secondo Baranski e Lumley la penisola italiana rappresenta uno degli scenari più attivi e interessanti in cui questo concetto ha, fin da tempi lontani, sempre avuto un grandissimo rilievo. In primo luogo si sottolinea come in Italia, analogamente ad altri paesi, si siano sviluppate molteplici definizioni di “cultura”, ma si mettono in rilievo anche le caratteristiche peculiari. Le due definizioni di cultura “popolare” e di “massa” rimandano a due concezioni diverse, se non addirittura opposte tra di loro. Col termine cultura di “massa” si sottintende una qualche forma di manipolazione di coloro che la consumano. Per cultura “popolare” si rimanda ad attività prodotte dalle persone stesse e modificate per la loro utilizzazione. Se l’uso italiano di “massa” ha le sue origini nell’uso coniato negli anni Venti negli USA, a proposito del consumo dei beni di massa prodotti, il termine “popolare” appartiene a una lunga tradizione intellettuale e nazionale, che dall’inizio dell’Ottocento ha privilegiato lo studio della ricca cultura materiale, insieme alle usanze, alle credenze che vengono raccolte sotto discipline quali la demologia e le tradizioni popolari. Per quanto riguarda quest’ultima accezione, fondamentale è stato il contributo di Antonio Gramsci, i cui scritti sulle cultura e le classi subalterne hanno costituito un apporto fondamentale per i CS anglofoni (5).

Umberto Eco invece viene considerato uno degli esponenti più importanti sia in Italia sia a livello internazionale per le sue analisi sulla cultura di “massa” e sui “media” (Robey 1990, pp. 160-177) (6). Eco infatti grazie alle sue pionieristiche analisi semiotiche sulla televisione e sulla comunicazione di massa è ormai visto come uno dei massimi studiosi dei CS. Non minore importanza viene attribuita a Benedetto Croce, che insieme a Gramsci ha avuto un’influenza enorme nel panorama culturale italiano. Fondamentali sono considerati tanto i suoi lavori sulla cultura “alta” quanto sulla poesia popolare (Baranski 1990, pp. 139-159). I curatori si soffermano poi su altri intellettuali italiani, tra i quali Pier Paolo Pasolini e Gianni Vattimo, focalizzando l’attenzione su due questioni: la vasta cultura interdisciplinare di questi studiosi e il loro coinvolgimento nei dibattiti sociali e politici del paese. Questi aspetti confermano la vivacità tipica dello scenario culturale italiano.

Il libro Italian Cultural Studies. An Introduction, curato da David Forgacs e Robert Lumley è il primo destinato specificatamente ai corsi di Italian Studies (7). Il libro segna una nuova partenza per gli studi sull’Italia; si augura di promuovere una rivalutazione critica di ciò che significa “cultura” nel contesto italiano e indicare nuove vie di studio della società italiana. Analogamente a Culture and Conflict, anche qui si dà un grande rilievo al termine “cultura”. Forgacs e Lumley sottolineano come in italiano vi siano due definizioni della nozione comunemente accettate, che corrispondono anche a quelle presenti nella lingua inglese: una “alta” e ristretta a ciò che si acquista tramite l’istruzione, che abbraccia le attività intellettuali, le arti e il divertimento (come la musica “seria”); l’altra più estesa, di origine antropologica e sociologica, che ha per oggetto tutti i tratti culturali prodotti dall’uomo, e comprende la grande varietà di pratiche che caratterizzano una particolare società, dai suoi modi di produzione materiale, fino alle abitudini alimentari, l’abbigliamento, le celebrazioni, i rituali e così via.

L’obiettivo principale del volume è “interrogare e decostruire” le distinzioni tra la cultura “alta” o di élite e quella “popolare” o di “massa”, insieme alle loro varie forme nel contesto italiano. Tuttavia maggior spazio è stato dedicato alle manifestazioni della cultura popolare, di massa e all’americanizzazione dei modelli italiani di consumo culturale, piuttosto che a quella alta. Poco rilievo è stato dato alla cultura come un’esperienza estetica d’élite, mentre è stata privilegiata quella intesa in senso antropologico (8). Inoltre, si porta l’attenzione sulla questione meridionale, sui gruppi subordinati, sulla posizione delle donne, sui Gender Studies e sugli immigranti, sui mass media e sull’editoria.
I curatori si soffermano sulle concezioni di cultura nel contesto italiano, dando grande rilievo agli intellettuali che le hanno promosse. Benedetto Croce e Giovanni Gentile vengono considerati come i più grandi sostenitori della cultura “alta”, identificandola con gli intellettuali, la storia culturale e quella intellettuale. Antonio Gramsci ed Ernesto De Martino vengono invece indicati come i principali promotori dell’accezione “popolare” e antropologica. Anziché insistere su Gramsci come figura fondamentale per lo sviluppo dei CS, si mettono in evidenza soprattutto i suoi contributi sull’analisi della cultura subalterna e la produzione culturale popolare (9). Tuttavia vengono focalizzati anche il concetto di cultura di “massa” e i contributi di Pier Paolo Pasolini. Grandissimo rilievo viene dato nuovamente a Umberto Eco, sottolineando non solo il suo ruolo come intellettuale italiano, ma soprattutto i suoi lavori nei CS.

Per quanto riguarda la disposizione del volume, il materiale è organizzato in modo tematico ed è focalizzato soprattutto sul periodo che va dal 1945 in poi. Tuttavia i curatori hanno evitato di seguire un’impostazione storica ed hanno preferito evidenziare problematiche, dibattiti e approcci alla cultura che si ritengono di estrema importanza e di valore per coloro che si avvicinano a questo campo per la prima volta.
L’ultimo libro di cui vogliamo trattare è The Cambridge Companion to Modern Italian Culture, curato da Zygmunt Baranski e Rebecca West (10), che, con i suoi diciotto saggi, segna una svolta fondamentale negli studi di lingua inglese sulla cultura contemporanea italiana.

In primo luogo, esso costituisce un importante progetto editoriale. A differenza dell’Italian Cultural Studies, che era stato scritto soprattutto per i corsi universitari britannici, Modern Italian Culture costituisce il risultato di una collaborazione anglo-americana: si propone infatti di soddisfare le richieste e le esigenze avvertite dagli studiosi e dai docenti tanto nell’ambiente britannico quanto in quello statunitense. Ciò appare evidente già dai curatori: Baranski, come abbiamo visto, proviene dal mondo accademico inglese, mentre West deriva da quello americano. Ma la collaborazione coinvolge le sponde opposte dell’Atlantico anche per quanto concerne gli altri autori, nonché per l’organizzazione generale del volume. Il grande rilievo dato alla storia e l’estensione dell’analisi al 1870, deriva dal fatto che ben pochi dipartimenti di Italiano negli U.S.A. possono offrire corsi limitati all’Italia dal 1945 in poi. Tuttavia Modern Italian Culture non ha soltanto una finalità universitaria. Pur offrendosi agli studenti di Italian Studies di qualsiasi grado, ha un carattere introduttivo e divulgativo che è adatto ad un pubblico più ampio: esso si rivolge non solo a tutti coloro che nutrono un interesse oppure una curiosità nei confronti dell’Italia, ma anche agli specialisti del settore, poiché contiene cospicui riferimenti bibliografici.

In secondo luogo, con questa antologia si tenta di uscire dall’appiattimento provocato da un’analisi parziale dell’Italia; non si vogliono mettere in evidenza soltanto gli aspetti popolari e di massa della cultura, ma si desidera riaffermare il valore di quella “alta”. Nonostante Modern Italian Culture s’inserisca nel filone degli studi sull’Italia contemporanea, si differenzia nel tentativo di colmare alcune lacune individuate nei lavori precedenti. Nell’introduzione, Baranski si riferisce esplicitamente a tre volumi: Italian Cultural Studies, sul quale ci siamo già soffermati, La cultura italiana del Novecento (1996), curato da Corrado Stajano, disponibile solo in italiano, e Revisioning Italy. National Identity and Global Culture (1997), a cura di Beverly Allen e Mary Russo. Revisioning Italy è un’antologia apertamente impegnata che “attraversa i confini disciplinari e fa esplodere la categoria “Italia”” (p. ix). Il Bel Paese, secondo le curatrici, incorpora forme storiche contraddittorie di nazionalità; per questo hanno voluto raccogliere saggi che mettessero a fuoco le varie sfaccettature di nazionalità italiana, sia dall’interno che dall’esterno. Collegandosi a correnti contemporanee negli Studi Culturali transnazionali, esplora diverse questioni, come la posizione dell’Italia in Europa e nel mondo, l’immigrazione, l’etnicità e la colonizzazione. La cultura italiana del Novecento s’interroga anche sulla questione della cultura nazionale italiana, privilegiandone il senso elitario. I ventisei saggi di cui è composto il libro offrono interessanti sintesi di varie discipline accademiche come la medicina, l’archeologia, la demografia e la psicologia, con la finalità di aiutare i lettori ad affrontare il 2000 (pp. vii-xviii).

Tuttavia è nella struttura generale di Modern Italian Culture che possiamo cogliere le diversità rispetto all’Italian Cultural Studies. Baranski afferma infatti che l’organizzazione dell’antologia riflette il desiderio di trovare una posizione che, da un lato, aiuti i lettori a capire quanto sia complessa l’Italia e quanto sia difficile averne una comprensione generale e, dall’altro, li renda consapevoli dei vari modi in cui le questioni possono essere analizzate. Nonostante condivida la convinzione, promossa dai CS, che la cultura non possa essere solo alta, e che occorra seguire un taglio interdisciplinare, Modern Italian Culture riconferma vigorosamente il valore delle tradizionali discipline umanistiche, nonché il valore dei risultati conseguiti dagli artisti, che creano deliberatamente i loro lavori per un pubblico ristretto e intellettualmente sofisticato, e che si considerano come eredi di una tradizione d’élite. L’enfasi del libro è posta piuttosto sull’ampiezza e l’apertura tematica, e concerne tanto le informazioni fornite quanto i modi in cui queste possono essere interpretate.

Baranski scrive che i propositi principali del volume sono stati principalmente pratici. In primo luogo, Modern Italian Culture vuole riempire una lacuna nella letteratura sull’Italia dall’unificazione. Finora infatti non vi è un unico volume in lingua inglese che cerchi di dare un’introduzione generale della vita culturale della penisola dal 1860 in poi. Proprio perché il volume appartiene alla serie dei Companions, deve necessariamente fornire un’immagine generale del paese; perciò le informazioni devono essere significative, ma allo stesso tempo anche storicamente radicate e giudicate criticamente. Il libro dunque si propone nella sua originalità, cercando di fornire un’immagine, o meglio una serie di immagini, in cui pur dando rilievo alla cultura popolare e di massa, si risconosce anche l’importanza delle trasformazioni storiche, nonché i contributi più significativi della cultura intellettuale e artistica. Modern Italian Culture dà rilievo a tutti e tre gli aspetti della cultura: questi non vanno scissi, ma devono essere presi tutti in considerazione per comprendere l’Italia di oggi.

È interessante vedere come questo progetto sia molto vicino ad un altro lavoro pubblicato dalla Oxford University Press nel 1995 sulla Francia, curato da Jill Forbes e Micheal Kelly, intitolato French Cultural Studies. An Introduction. Pur appartenendo alla medesima collana di “Cultural Studies” in cui è apparso il libro di Forgacs e di Lumley, che comprende volumi su altri paesi europei come la Spagna e la Russia, French Cultural Studies ha il merito di aver messo a fuoco tanto le maggiori trasformazioni storiche, politiche e sociali avvenute in Francia dal 1870 in poi, quanto la cultura popolare, di massa e i media; ma allo stesso non ha trascurato la cultura filosofica, letteraria ed artistica che ha reso la Francia famosa in tutto il mondo, i cui contributi sono stati fondamentali per lo sviluppo delle attività intellettuali internazionali.
Modern Italian Culture, proprio per fornire un’immagine ampia dell’Italia, ha adoperato un taglio tradizionale e ha voluto dare un grande rilievo alla storia, alla letteratura, alla storia dell’arte e alla musica “seria” di questo paese dalla sua unificazione, seguendo quanto convenzionalmente spetta ad un “companion” (11). Allo stesso tempo però si è voluto dare anche un taglio critico al volume, mettendo in discussione alcune immagini convenzionali dell’Italia, affinché i lettori siano stimolati a mutare i loro giudizi tradizionali sul paese e la sua cultura. Il primo saggio di John Dickie, che apre il volume con il titolo provocatorio The Notion of Italy, offre un’interpretazione “decostruttiva” dell’Italia. Quello successivo di Anna Cento Bull, Social and Political Cultures from 1860 to the Present, presenta un panorama storico dell’Italia e sottolinea come gli eventi storici e i mutamenti sociali siano strettamente collegati ai valori e al comportamento degli italiani. Gli altri saggi mettono in evidenza l’ampiezza della cultura italiana contemporanea. Dopo aver trattato i principali mutamenti sociali, politici e religiosi, indispensabili per acquisire una base generale, si passa poi ad argomenti più specifici. Tra questi, grande rilievo è dato alla cultura letteraria, includendo la letteratura, il teatro e la poesia. Inoltre, il volume offre interessanti saggi su aspetti che hanno reso l’Italia famosa nel mondo, ovvero l’arte, il cinema, la moda, il design e la musica lirica. Infine, non meno importanza viene data ai tratti culturali più recenti, come quelli relativi ai mass media, senza tuttavia trascurare aspetti più “popolari”, come la grande tradizione della musica folkloristica.

In secondo luogo, emerge che l’Italia, grazie alle sue peculiarità, rappresenta uno dei luoghi più interessanti per uno studio interdisciplinare. Baranski infatti afferma gli intellettuali italiani sono da sempre abituati ad analizzare la loro cultura, adoperando un approccio ampio e dinamico. Del resto, l’enfasi che tradizionalmente in Italia viene riconosciuto al contesto, alla storia e al rispetto del significato letterario dei testi, offre il terreno più fertile per capire la complessità di qualsiasi espressione culturale. In particolare, a causa della millenaria frammentazione regionale, politica e linguistica, domande riguardo ai molteplici aspetti della cultura sono state poste da molto tempo da studiosi italiani, poiché le diversità geografiche, storiche e sociali hanno da sempre costituito il tessuto del paese. Si capisce come sia estremamente difficile parlare di una cultura nazionale italiana forte e unica! Tale difficoltà è ulteriormente riscontrabile anche a proposito della cultura “alta”, dato che l’Italia è l’unico paese del mondo occidentale a possedere due principali, sebbene distinte, tradizioni letterarie d’élite, ovvero quella italiana e quella dialettale. Nonostante l’istruzione e i mass media abbiano contribuito enormemente ad eliminare le differenze sociali, linguistiche e regionali dal dopoguerra in poi, la continua mancanza di una cultura nazionale chiaramente identificabile non può non sollevare domande riguardo alla natura di un’identità nazionale in Italia tanto nel passato quanto nel presente.
Inoltre, Modern Italian Culture vuole fornire un’immagine positiva dell’Italia. Anziché ricadere nei soliti clichés di paese “anomalo” e “arretrato”, si mette in rilievo quanto la frammentazione italiana sia importante e quali enormi sviluppi siano stati fatti in un periodo relativamente breve.

La mancanza di elementi centralizzanti forti ha convinto molte persone, tra cui molti italiani, che il paese fosse “anomalo”, o addirittura “arretrato”, rispetto agli altri paesi capitalistici avanzati dell’occidente (12). Tale visione ha oscurato le trasformazioni socio-economico-politiche avvenute in Italia e gli importanti obiettivi raggiunti in un arco di tempo brevissimo. Inoltre è diffusa una mentalità secondo la quale i contatti e i contributi italiani alla modernità siano stati negativi. Queste dichiarazioni non corrispondono alla realtà. È vero che la rapida transizione dell’Italia da un’economia primariamente rurale al tempo dell’unificazione ad una neo-capitalistica di successo è stata tutt’altra che diretta: vi sono stati successi e fallimenti clamorosi. È altresì vero che l’Italia ha avuto molte difficoltà di sviluppare strutture burocratiche e statali adeguate alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche che hanno caratterizzato il paese dal 1860. Allo stesso tempo, però, non bisogna dimenticare che, come dimostrano i capitoli dedicati all’arte, alla letteratura, alla musica, al cinema, al design e alla moda, molti aspetti ritenuti “moderni” che appartengono alla vita quotidiana sono nati e si sono sviluppati in Italia. Ciononostante essa occupa un ruolo secondario nel mondo. L’Italia soffre del peso della sua storia. La sua grandezza è collocata nel suo passato: nell’impero romano, nel medioevo, nel Rinascimento, nel Barocco. La maggior parte di coloro che si lamentano della condizione attuale del paese, lo fanno attraverso questa comparazione con una visione idealizzata delle sue gloriose vestigia. Modern Italian Culture non è influenzata dalla critica nostalgica, ma si focalizza sugli aspetti pratici dell’attuale realtà italiana.

Rebecca West, nel saggio conclusivo Epilogue: Italian Culture or multiculture in the new millenium?, s’interroga sul futuro del paese e ne mette in evidenza la nuova etnicità, dovuta soprattutto alla forte ondata immigratoria che ha interessato la penisola. Ma l’apporto più significativo del saggio sta nel riconoscere il ruolo e gli apporti dell’Italia nei dibattiti culturali e accademici mondiali. Questa dimensione è stata acquisita grazie all’aumento degli scambi intellettuali tra l’Italia e il Nord America e alla maggiore disponibilità di testi critici italiani tradotti in inglese per lettori accademici e generali. West prende in considerazione due aree specifiche della cultura contemporanea: la filosofia postmoderna e il femminismo. Per quanto riguarda la filosofia, grande rilievo viene riconosciuto al Pensiero debole promosso nel volume del 1983 curato da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti. Gli studi italiani sul femminismo hanno acquisito un riconoscimento internazionale sempre più significativo. Tra questi, West evidenzia il lavoro teorico svolto dal gruppo di Diotima dell’Università di Verona e dalle sue componenti più attive come Luisa Muraro e Adriana Cavarero (anche se si specifica che quest’ultima non fa più parte del gruppo).

 

Conclusione

Bisogna in sintesi riconoscere che attraverso questi testi l’immagine dell’Italia è stata attualizzata. È interessante che i vari autori sottolineino le trasformazioni avvenute in Italia, la considerino come uno dei grandi paesi industrializzati del mondo e puntualizzino come gli stili di vita italiani non si discostino da quelli delle altre ricche nazioni occidentali. Inoltre ci sembra opportuno rilevare che le tendenze più recenti ridanno spazio anche ai valori tradizionali della cultura italiana; e mostrano che l’Italia può contribuire attivamente alla produzione culturale e intellettuale mondiale contemporanea. Notevole è poi il fatto che la frammentazione storica della penisola e le molteplici identità regionali non vengano più considerate come un segno di “arretratezza” o di “debolezza”, ma anzi diventino il luogo in cui la “differenza” italiana può divenire l’esempio per eccellenza della complessità culturale, nonché fornire la prova che l’“omogeneità” nazionale difficilmente esiste.

Con tutti questi volumi introduttivi a disposizione sia del lettore generico sia degli studenti, ci auguriamo che i CS italiani proseguano il loro lavoro di studio della cultura contemporanea dell’Italia. Ciò che ancora manca è una visione d’insieme, opera di un unico autore che sappia fornire un’idea sintetica e coerente dell’Italia contemporanea. Tuttavia ci piacerebbe che l’orientamento futuro prendesse in considerazione aspetti di “italianità” profondamente inseriti nel passato, ma allo stesso tempo attuali anche oggi. A tale proposito, ci vengono in mente due lavori estremamente significativi. Il primo è un saggio uscito qualche anno fa di Alessandro Fontana intitolato La scena (1972). Qui l’autore scrive una storia psicoanalitica della scena italiana, dalla cui concezione, ritagliata sui modelli strutturalistici di Foucault, Lacan e Derrida, emerge “un esame delle forme e dei modi in cui il negativo (la violenza, la morte, il desiderio) si manifesta nella trama ordita dall’autorità e dall’ordine costituito” (Perniola 1972, p. 100). Attraverso l’analisi dei tre tipi fondamentali di scena – immaginaria, simbolica e reale –, applicando gli apporti provenienti da diverse discipline, quali l’estetica, la psicoanalisi, la storia dell’arte e dello spettacolo, si elabora un discorso globale sul divenire della società italiana; l’attenzione agli aspetti immaginativi, simbolici e quotidiani dell’esistenza individuale e collettiva, finiscono col dissolvere le specializzazioni troppo rigidamente circoscritte. L’altro è il libro dell’antropologo Gian Luigi Bravo, Italiani. Racconto etnografico (2001). Qui l’autore individua nella nozione di “festa” uno dei nodi cruciali per capire l’Italia di oggi senza rinnegare quella del passato (13). Questi costituiscono solo due esempi in cui il ricchissimo e millenario patrimonio culturale italiano può non solo essere recuperato e rivalutato nella sua attualità, ma anche fornire nozioni interdisciplinari fondamentali attraverso le quali è ancora possibile studiare l’Italia nella sua originalità, senza tuttavia trascurarne la complessità.

 

 

Note

Questo testo è stato letto nella giornata di studio su “Cultural Studies, estetica, scienze umane”, organizzata da Roberto Salizzoni, il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino e la Società Italiana d’Estetica, tenutasi presso l’Università di Torino il 2 marzo 2002.

1 D’ora in avanti abbreviato in CS.
2 I Cultural Studies non sono una disciplina, ma piuttosto un insieme di discipline, comprendendo la letteratura, la storia sociale, i media, la geografia umana, l’antropologia culturale, la sociologia, la semiotica, la psicanalisi. Com’è noto i CS nacquero nel Centre for Contemporary Cultural Studies a Birmingham (CCCS), in Gran Bretagna, all’inizio degli anni Sessanta. Tra i suoi padri fondatori vi furono Richard Hoggart (nato 1918), Raymond Williams (1921-88), E. P. Thompson (1924-93) e Stuart Hall (nato 1932). Sviluppatisi in un momento cruciale della storia contemporanea britannica, i CS s’interrogano su cosa sia la “cultura”, attraverso quali modalità viene creata, come viene praticata, nonché i rapporti di tensione che ne derivano, quando le differenti classi e gruppi sociali si contendono il dominio culturale. I CS hanno avuto ormai un’ampia diffusione nei principali paesi di lingua anglofona, tra questi gli Stati Uniti, l’India, il Canada e l’Australia, ove si sono insediati anche nelle università.
3 Robert S. Dombroski, Forward, “Annali d’Italianistica”, 16, 1998, pp. 11-14, numero speciale su Italian Cultural Studies, a cura di Robert S. Dombroski e Dino S. Cervigni. La traduzione e il corsivo sono miei. Robert Dombroski, scomparso recentemente, era Distinguished Professor e direttore di Italian Graduate Studies alla City University di New York (CUNY); di recente pubblicazione segnaliamo Dombroski (1999; 2002 it.). Dino Cervigni è professore di Italiano alla University of North Carolina Chapel; è esperto di Letteratura medievale (in particolare Dante) e del Rinascimento.
4 Zygmunt Baranski è professore di Italian Studies all’università di Reading in Gran Bretagna; è un’esperto di Dante e della cultura contemporanea italiana, su cui ha pubblicato moltissimi lavori, alcuni dei quali sono stati tradotti in italiano; è il direttore della rivista “The Italianist” e co-direttore della già menzionata collana Italian Perspectives, pubblicata dalla Northern Universities Press; tra le numerose pubblicazioni segnaliamo quello curato insieme a Shirley Vinall (1991). Robert Lumley è Senior Lecturer di Italian Studies alla University College di Londra. È un’esperto di storia e di cultura contemporanea italiana, in particolare dei movimenti turbolenti degli anni Sessanta e Settanta; tra i suoi volumi segnaliamo States of Emergency (1994; 1998 it.); infine è uno dei curatori del volume Italian Cultural Studies. An Introduction di cui parleremo più avanti in questo articolo.
5 Com’è noto, nella storia dei CS, Antonio Gramsci è considerato come uno dei teorici fondamentali; importantissime sono le sue teorizzazioni sulla cultura popolare, sulla nozione di egemonia, nonché le sue acute considerazioni sul ruolo degli intellettuali. Largamente tradotto nel mondo anglofono, qui ci limitiamo a menzionare un volume particolarmente significativo per i CS e per la discussione intorno alla nozione di “cultura”: Nowell-Smith e Forgacs (1985).
6 Questo articolo contiene un’ampia bibliografia delle opere di Eco pubblicate in inglese, elenca quelle considerate fondamentali per i CS e mette a fuoco i contributi principali di Eco nei CS.
7 David Forgacs insegna alla University College di Londra dove dirige il Dipartimento di Italiano; è autore di molte pubblicazioni tra le quali segnaliamo Italian Culture in the Industrial Era, 1880-1980 (1990; 2000 it.).
8 Rimandiamo all’ottimo saggio di Paola Filippucci, Anthropological Perspectives on Culture in Italy (in Forgacs, Lumley 1996, pp. 52-71), nel quale si espongono i principali studi antropologici sull’Italia condotti tanto dagli anglo-americani quanto dagli italiani.
9 Tale è l’obiezione mossa da David Ward nella recensione a Italian Cultural Studies, pubblicato in “Annali d’Italianistica”, 16, 1998, pp. 368.
10 Rebecca West è professoressa di Italian and Cinema/Media Studies all’università di Chicago (U.S.A.). È autrice di numerose pubblicazioni sulla prosa e sulla poesia contemporanea italiana, sui CS, sui Women Studies e sul cinema.
11 In inglese i libri “companion” sono introduzioni generali ad argomenti specifici, oppure danno consigli pratici su come fare qualcosa (ad esempio bricolage, cucina ecc.).
12 La nozione di “arretratezza” ha avuto una notevole diffusione negli studi anglofoni sull’Italia attraverso l’opera di Edward Banfield (1958).
13 Rimandiamo alla nostra recensione del volume di Gian Luigi Bravo, Italiani. Racconto etnografico, in “Agalma”, 3, 2002, pp. 113-119.

 

 

Bibliografia

Allen, B., Russo M., eds., 1997, Revisioning Italy, Minneapolis-London, University of Minnesota Press.
Banfield, E., 1958, The Moral Basis of a Backward Society, Glencoe, Ill.
Baranski, Z., Lumley, R., eds., 1990, Culture and Conflict in Postwar Italy. Essays on Mass and Popular Culture, New York, St. Martin’s Press.
& Lumley, R., eds., 1990, Pier Paolo Pasolini: Culture, Croce, Gramsci, in Baranski, Z., Lumley, R., 1990, pp.139-159.
Baranski, Z., Vinall S., eds., 1991, Women and Italy, New York, St. Martin’s Press.
Baranski, Z., West, R., eds., 2001, The Cambridge Companion to Modern Italian Culture, Cambridge, Cambridge University Press.
Bravo, G. L., 2001, Italiani. Racconto etnografico, Roma, Meltemi.
Dombroski, R., 1998, ForwardItalian Cultural Studies, “Annali d’italianistica”, 16, pp. 11-14.
Dombroski, R., 1999, Creative Entanglements: Gadda and the Baroque; trad. it. 2002, Gadda e il Barocco, Torino, Bollati Boringhieri.
Eco, U., 1964, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani.
Fontana, A., 1972, La scena, in Romano, R. e Vivanti C., a cura, Storia d’Italia. I caratteri originali, Vol. I., Torino, Einaudi, pp. 791-866.
Forbes, J., Kelly, M., eds., 1995, French Cultural Studies. An Introduction, Oxford, Oxford University Press.
Forgacs, D., 1990, Italian Culture in the Industrial Era, 1880-1980, Manchester; trad. it. 2000, L’industrializzazione della cultura italiana (1880-2000), Bologna, Il Mulino.
Forgacs, D., Lumley, R., eds., 1996, Italian Culture Studies. An Introduction, Oxford, Oxford University Press.
Lumley, R., 1994, States of Emergency, London, Verso; trad. it. 1998, Dal ’68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi italiana, Firenze, Giunti.
Morin, E., 1962, L’Esprit du temps, Paris, Gasset.
Nowell-Smith, G., Forgacs, D., eds., 1985, Antonio Gramsci. Selection from Cultural Writings, London, Lawrence & Wishart.
Perniola, M., 1972, Spettacolo e storia: la scena italiana, “Rivista di Estetica”, XVII, 1, pp. 100-104.
Robey, D., 1990, Umberto Eco: Theory and Practice in the Analysis of the Media, in Baranski, Z., Lumley, R., eds., 1990, pp. 160-177.
Rovatti, P. A., Vattimo, G., a cura, 1983, Il pensiero debole, Milano, Feltrinelli.
Stajano, C., a cura, 1996, La cultura italiana del Novecento, Roma-Bari, Laterza.
Ward, D., 1998, Italian Cultural Studies. An introduction, “Annali di italianistica”, 16, pp. 366-369.