Smetto di bere, e torno a casa sobrio verso le nove di sera per prendere il latte. La stanza è piena di demoni che mi scacciano dal letto e mi soffocano sotto le coperte. Se torno a mezzanotte, ubriaco, mi addormento come un angelo, e mi risveglio forte come un piccolo dio, pronto a lavorare come un forzato.
Strindberg, Inferno
Oggetto dei nostri discorsi, sempre più di frequente, è la malattia – in quest’ultimo scorcio di tempo nella sua veste angosciosa, epidemica – non la salute. Nuove malattie si insinuano all’interno dei sempre più numerosi e mutevoli ‘cavalli di Troia’ prodotti da un ambiente devastato e dalla degradazione dei rapporti generata dall’acuirsi d’una cieca, sonnambolica competizione in ogni ambito del sociale. Penetrano così, a ondate, nella fragile cittadella dell’organismo. Di fronte al ‘perturbante’ di questa accresciuta vulnerabilità, la scienza medica costruisce senza posa, infaticabilmente, nuovi argini – ma del suo opposto speculare, della salute, chi si ritiene in grado di parlare in base a un sapere, chi è capace di indicarla con sicurezza? A far esitare sulla soglia di questo possibile, forse, il risuonare lontano, nel termine salute, del suo timbro etico, e dell’aspirazione a una salvezza, a un essere redenti, anche solo per un breve, miracoloso passaggio, dai limiti che ci costituiscono.
Accanto a questo aspetto, che riguarda la fase storica che la nostra civiltà sta attraversando, ve n’è poi un altro, meno legato alla fisionomia dei tempi. Più volte si è fatto notare – Gadamer tra gli ultimi, qualche decennio fa – che è la malattia, non la salute, a mostrarsi come ciò che ci si pone di fronte, come ‘invasore’, sbarrando la strada ai nostri progetti. Dato che la salute, invece, non si dà a vedere – non la avvertiamo, in genere – siamo indotti a riflettere sul suo carattere ‘nascosto’.
Certo la salute sfugge a ogni criterio di ‘misurazione’. E Gadamer intuisce la giusta direzione nella ricerca di questo ineffabile che si sottrae, quando dice – senza peraltro svolgere la rete di significati che emergono dalla sua intuizione – che la salute non è misurabile-calcolabile proprio in quanto rappresenta “uno stato di intrinseca adeguatezza e di accordo con se stessi”. Ora, questo significa, in prima battuta, che ciascun individuo racchiude in sé la propria salute. Essa non può essere colta da una pur necessaria ‘scienza medica’, che si costituisce nel connettersi sistematico di leggi, ma piuttosto da un’arte medica, che – per citare ancora Gadamer – è l’applicazione ‘particolare’ di quelle leggi, che deve maturare lentamente attraverso la personale esperienza del medico e la sua capacità di giudicare. Ma se è così, come potrà il medico, seppure provvisto del bagaglio della propria esperienza, ricondurre con cura a qualcosa che intuisce – un equilibrio, un particolare modo d’essere – che pure ha il suo centro di gravità altrove, in un’altra individualità? E ancora prima: quale idea dovremmo farci di questo felice ‘stato’, del modo d’essere vivificato dalla salute? Si dà via a esso che possa mostrarsi per un succedersi di ‘stazioni’, che sia costellata da segni e tracce: insegnabile?
La salute si confonde con il nostro essere-nel-mondo, nel nostro attivo, consapevole partecipare alle relazioni e ai conflitti che esso comprende. Per un verso è la sua invisibile conditio sine qua non, per l’altro sembra affondare in esso, assorbita nel suo movimento incessante. Questo può essere inteso in un duplice modo: che la salute si traduce, si dà senza residui in questo gioioso, attivo operare – e dunque, in fondo, non è altro da esso; ma anche, più sottilmente, che la vera salus, come intimo accordo con sé, si smarrisce in essa, e diviene in essa inafferrabile chimera. Sono due strade che si diramano in direzioni opposte, per diverse ontologie, per così dire, dell’esistente. Pure, – ed è un punto nel quale le due direttrici sembrano convergere: si dà un fare che porti con sé quello stato di ‘intima adeguatezza e di accordo con se stessi’? Questo fare – e quell’equilibrio che lo rende possibile, quell’ordinata ritmica delle forze – sarebbe forse autentica salus.
Luigi A. Manfreda